Mercoledì 30 Aprile 2025
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La regolamentazione dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che tratta degli strumenti per la creazione di un mercato globale del carbonio, potrebbe generare un commercio di 167 miliardi di dollari l’anno nel 2030 e di 347 miliardi di dollari l’anno nel 2050. Il Brasile è uno dei paesi con maggior potenziale di vendita di crediti di carbonio e potrebbe generare ricavi netti da 16 a 72 miliardi di dollari entro il 2030.
Questi dati fanno parte di una nota tecnica ottenuta in esclusiva da Valor, un’iniziativa del Consiglio d’affari brasiliano per lo sviluppo sostenibile (Cebds). I suoi punti principali sono stati discussi ieri dai rappresentanti delle grandi aziende con il ministro degli Affari Esteri, Carlos Alberto França.
Il settore privato ritiene che il Brasile sostenga la regolamentazione del mercato globale del carbonio alla CoP 26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Glasgow a novembre.
Da diversi anni Cebds studia le potenzialità del mercato globale del carbonio, la strutturazione di un mercato del credito in Brasile e l’impatto dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi sull’economia e sulle emissioni di gas serra.
L’articolo 6 è stato proposto nel 2015 dal governo brasiliano e dall’Unione Europea. Durante gli altri round sul clima, tuttavia, la differenza di opinioni sull’attuazione degli strumenti di mercato ha creato un’impasse nella negoziazione.
Alla CoP di Madrid nel 2019, il Brasile, sotto il comando dell’allora ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, è stato accusato di aver bloccato un accordo e la CoP ha fallito. Il tema è centrale nelle negoziazioni a Glasgow. L’articolo 6 prevede due strumenti per la negoziazione delle emissioni di gas serra. Uno di questi è un meccanismo centralizzato e copre le operazioni di riduzione delle emissioni tra paesi (descritte nell’articolo 6.2).
L’altro è un meccanismo decentralizzato (articolo 6.4) che sarà utilizzato per le transazioni tra enti pubblici e privati di crediti di carbonio generati nei progetti.
La controversia principale riguarda i corrispondenti adeguamenti che queste transazioni richiedono negli impegni climatici dei paesi, gli NDC.
Se un Paese non riesce a raggiungere il suo obbiettivo di riduzione e acquista crediti di carbonio da un altro (che ha, ad esempio, foreste che sequestrano carbonio dall’atmosfera), è necessario apportare modifiche agli impegni climatici di entrambe le parti dopo la transazione.
Il governo brasiliano non si è opposto all’adeguamento quando la transazione avviene tra paesi. Ma non ha accettato l’idea di adeguare l’obiettivo nazionale quando lo scambio di emissioni è tra aziende.
In altre parole, il paese in cui vengono venduti i crediti di un’azienda (il Brasile, ad esempio), dovrebbe aumentare il proprio target in base alla quantità scambiata. Allo stesso tempo, il paese in cui si trova la società acquirente ridurrebbe il volume di emissioni sotto il suo impegno.
L’impasse tra la posizione brasiliana e l’Unione europea ha fermato i negoziati sul clima. Gli europei hanno accusato il Brasile di compromettere l’integrità ambientale dello strumento: senza corrispondenti adeguamenti negli impegni nazionali sul clima, l’atmosfera avrebbe ricevuto più gas serra.
Dal CoP di Madrid nel 2019 ad oggi, la posizione brasiliana è diventata più flessibile. L’attuale proposta brasiliana, sottoposta all´apprezzamento dei paesi firmatari dell´Accordo di Parigi, prevede un periodo di transizione da definire tra il 2021 e il 2030 per i relativi adeguamenti.
Fonte: https://bit.ly/3mpYGrw
(Contenuto editoriale a cura della Camera Italo-Brasiliana di Commercio, Industria ed Agricoltura di Minas Gerais)