Notizie mercati esteri

Venerdì 5 Marzo 2021

Gli effetti del Coronavirus sugli interscambi Italia-USA

Recentemente sono stati pubblicati i dati per l’intero anno 2020 degli interscambi commerciali tra Italia e Stati Uniti, ovvero il terzo mercato di riferimento per l’export italiano (dopo Germania e Francia).

Come era prevedibile, in un contesto di forte decelerazione dei consumi e di pesante crisi economica internazionale, le nostre esportazioni oltreoceano hanno subito un calo sostanziale del -13,6% rispetto all’anno precedente.

Siamo in buona compagnia visto che la Francia ha diminuito le sue esportazioni verso gli USA di ben il 25,3%, il Regno Unito del 20,6%, il Giappone del 16,8% e anche la Germania ha registrato una flessione importante del 9,7%. 

L’Italia scende quindi dal 12° al 13° posto tra i paesi fornitori degli USA e perde conseguentemente una parte della sua quota di mercato che scende dal 2,3% al 2,1%. Prima di noi in classifica ci sono nell’ordine: Cina, Messico, Canada, Giappone, Germania, Vietnam, Corea del Sud, Svizzera, Irlanda, Taiwan, India e Regno Unito.

In termini monetari abbiamo perso poco meno di 8 miliardi di dollari di export, passando dalla cifra record registrata nel 2019 di 57,2 miliardi a 49,4 miliardi di dollari di valore delle nostre esportazioni verso gli USA nel 2020.

Pur in un contesto così problematico, la nostra bilancia commerciale con gli USA continua ad avere un saldo a nostro favore di 29,5 miliardi di dollari. Lo scorso anno l’Italia ha importato merci dagli States per un valore di $19,9 miliardi a fronte appunto di un valore di esportazioni di $49,4 miliardi.

Tra i principali settori del Made in Italy solo l’agroalimentare e bevande è riuscito a crescere sul mercato statunitense (+2,8%). In calo invece altri comparti strategici come Meccanica (-10,2%), Chimica e Farmaceutica (-22,3%), Moda ed accessori (-14,9%), Mezzi di Trasporto (-15,5%), Arredamento ed edilizia (-8,4%).

All’interno di questi macro-comparti ci sono comunque delle piacevoli eccezioni come per esempio la gioielleria (il cui export è aumentato del 10,3% nel 2020) o Navi ed imbarcazioni (+8,3%)

Fonte: ICE

(Contenuto editoriale a cura della Italy-America Chamber of Commerce Southeast)

Ultima modifica: Venerdì 5 Marzo 2021
Venerdì 5 Marzo 2021

I prezzi immobiliari britannici aumentano a febbraio, contro le aspettative

I prezzi immobiliari in Regno Unito sono cresciuti inaspettatamente lo scorso mese, secondo un’indagine del creditore ipotecario Nationwide pubblicata martedì.

I dati sfidano le aspettative di un rallentamento nel settore, grazie anche alle nuove misure annunciate dal ministro della finanza Rishi Sunak per stimolare il mercato.

Il costo degli immobili in UK, infatti, è accresciuto del 6,9% a febbraio, contro il 6,4% di gennaio, e contro le stime che prevedevano un rallentamento a; 5,6%.

Nationwide ha dichiarato che la situazione in cui riversa il mercato immobiliare britannico è incerta al momento, ed esiste la possibilità che il settore riceva una spinta dalle misure che Rishi Sunak comunicherà mercoledì.

Tuttavia, Nationwide sottolinea anche che il mercato potrebbe rallentare a causa dell’indebolimento del mercato del lavoro.

Secondo i media, Sunak sembrerebbe pronto ad estendere i tagli temporanei delle tasse sull’acquisto di proprietà fino a giugno e ad annunciare un nuovo sistema di garanzia sui mutui per i nuovi acquirenti.

Fonte: https://reut.rs/3qn7InY

 

(Contenuto editoriale a cura di The Italian Chamber of Commerce and Industry for the United Kingdom)

 

Ultima modifica: Venerdì 5 Marzo 2021
Venerdì 5 Marzo 2021

La produzione di energia rinnovabile in Portogallo raggiunge i massimi dal 1979

La produzione di energia rinnovabile ha raggiunto i massimi storici dall'aprile 1979 grazie alla spinta dell'energia idroelettrica, che ha registrato il più alto valore mensile di sempre nel febbraio 2021. 

La produzione di energia da risorse naturali ha infatti fornito la stragrande maggioranza (88%) del consumo di elettricità nel corso del mese di febbraio. 

Di conseguenza, la grande disponibilità di energie rinnovabili ha comportato una contrazione nell'utilizzo delle più tradizionali fonti energetiche. 

REN ritiene che le condizioni sono state favorevoli alle energie rinnovabili con "l'indice di produttività idroelettrica" che si è attestato a 1,85 (media storica pari a 1) registrando la più alta produzione mensile di sempre (2709 GWh), mentre l'indice di generazione eolica ha registrato 1,19".

Fonte:  https://bit.ly/2PCBokv

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per il Portogallo)

Ultima modifica: Venerdì 12 Marzo 2021
Venerdì 5 Marzo 2021

Il complesso piano di Joe Biden per creare 10 milioni di posti di lavoro “green”

La nuova amministrazione Biden tenterà di introdurre numerosi elementi di discontinuità rispetto a quella precedente. Concetti come un nuovo stipendio minimo, la cancellazione dei debiti scolastici, più tasse ai più abbienti e meno influenze delle lobby al Congresso sono stati i cavalli di battaglia della campagna dell’ex vicepresidente. Tra tutti questi progetti, però, quello ambientale è probabilmente il più ambizioso.

La Casa Bianca intende infatti de-carbonizzare l’America entro il 2035, cogliendo anche l’opportunità per creare fino a dieci milioni di posti di lavoro. Biden, inoltre, ha specificato sul suo sito personale come questi saranno lavori con stipendi competitivi, che porteranno ricchezza nelle tasche e nelle case degli Americani.

Ad una prima analisi, non è chiarissimo cosa intenda Biden con l’espressione “lavori green”, dato che secondo gli studi più recenti già quasi 4 milioni di americani erano ufficialmente coinvolti in mansioni che riguardavano la sostenibilità prima della pandemia.

Quel che è certo è che gli oltre 400 milioni di dollari l’anno verranno investiti in un progetto su due fronti, per una spesa totale prevista di circa duemila miliardi. Da un lato, il rifacimento delle infrastrutture più obsolete e malconce, dato che secondo il Dipartimento dei Trasporti circa il 24% delle strade americane ha bisogno di manutenzione (oltre il 30% in stati come California e Pennsylvania) e negli anni si sono accumulate critiche anche sulla gestione delle infrastrutture urbane come le metropolitane.

Dall’altro, ci si prospetta un massiccio sforzo verso le energie rinnovabili e la transizione tecnologica verso un’industria più sostenibile. Tra questi, oltre ai settori energetici, figurano gli sforzi verso l’automobilistica elettrica, la riconversione degli impianti industriali e il potenziamento delle tratte ferroviarie (pesantemente sottosviluppate negli Usa) per limitare il traffico aereo.

Le idee del Presidente, in ogni caso, dovranno prima fare i conti con il Congresso per evitare il destino del predecessore Obama, che vide i suoi ordini esecutivi riguardanti la lotta al cambiamento climatico cancellati da un tratto di penna di Donald Trump.

Ottenere il supporto delle camere, però, sembra piuttosto complicato al momento, visto che la maggioranza dei parlamentari americani è concentrata sull’enorme piano di aiuti post-pandemici, anch’esso ammontante a circa 2000 miliardi di dollari, che toglierà tempo e risorse alle ambizioni climatiche del Presidente.

 

(Contenuto editoriale a cura della Italy-America Chamber of Commerce Southeast)

 

 

Ultima modifica: Venerdì 5 Marzo 2021
Venerdì 5 Marzo 2021

Le azioni nel settore energetico fanno diminuire l’indice FTSE 100 britannico

L’indice FTSE 100 di Londra è sceso a causa dell’andamento delle azioni in ambito energetico, con i prezzi del petrolio in discesa alla luce dei timori circa un abbassamento della domanda in Cina.

L’indice FTSE 100 é sceso, infatti, dello 0,1%, principalmente a causa dell’andamento dei grandi attori del mercato petrolifero BP e Royal Dutch Shell.

Il prezzo del petrolio è crollato di piú dell’1%.

Una serie di fattori a livello internazionale ha aiutato l’indice FTSE 100 a ricrescere del 35% in seguito alla crisi economica dello scorso anno. Tuttavia, l’eventualità di un aumento dell’inflazione e dei rendimenti obbligazionari ha affievolito l’ottimismo dell’ultimo periodo.

D’altro canto, l’indice mid-cap FTSE 250 britannico è aumentato dello 0,1%, guidato dai guadagni nelle azioni nella tecnologia dell’informazione.

Fonte: https://reut.rs/3ecBDwU

 

(Contenuto editoriale a cura di The Italian Chamber of Commerce and Industry for the United Kingdom)

Ultima modifica: Venerdì 5 Marzo 2021
Venerdì 5 Marzo 2021

Adattare le reti portoghesi di distribuzione del gas all’idrogeno comporterà quasi 24 milioni di € di investimento

L'idrogeno è definitivamente entrato nei piani d'investimento di vari concessionari di distribuzione di gas naturale in Portogallo: solo nei piani di Galp Gás Natural Distribuição (GGND) troviamo il termine "idrogeno" 42 volte e nel piano di Portgás (di proprietà di REN) ci sono 67 riferimenti ad esso. 

I piani d'investimento di 11 imprese di distribuzione di gas naturale (nove controllate da GGND, una da REN e un'altra da Dourogás) per il periodo dal 2021 al 2025 sono appena entrati in consultazione pubblica sul sito web dell'Autorità di Regolazione dei Servizi Energetici (ERSE). Tale esercizio si ripete ogni due anni, affinché la società civile possa dare le sue opinioni sull'adeguatezza degli investimenti proposti da queste società. 

Complessivamente gli investimenti proposti associati all'idrogeno e ad altri gas rinnovabili ammontano a quasi 24 milioni di euro fino all'orizzonte del 2025.
E in questi piani è chiaro che oltre ai soliti investimenti nel rinnovamento delle infrastrutture di distribuzione del gas, le aziende ora prestano particolare attenzione alla necessità di adattare la rete che gestiscono per ricevere l'iniezione di idrogeno verde e altri gas rinnovabili, come il biometano.

Il più grande operatore, GGND (che Galp Energia ha recentemente venduto alla società tedesca Allianz), progetta un "importo totale di 10,6 milioni di euro per codesta attività. 

Ma ancora più ambizioso è il piano per Portgás, il distributore di gas naturale che REN ha comprato dal gruppo EDP e che opera nel nord del paese.
Tra gli investimenti previsti da Portgás per i prossimi cinque anni, che ammontano a 126,6 milioni di euro, l'azienda include una somma di 11,95 milioni di euro sotto la voce "decarbonizzazione e digitalizzazione dei beni".

Per questa voce la società stima investimenti per 2 milioni di euro quest'anno, 3,2 milioni nel 2022, 2,7 milioni nel 2023, 2,6 milioni nel 2024 e 1,4 milioni nel 2025.
Portgás ammette che una parte di questo investimento, precisamente 5,9 milioni di euro, sarà ammissibile per ricevere incentivi a fondo perduto.

E poi ci sono i piani di Sonorgás, un distributore che opera anche nella regione settentrionale e che prevede investimenti di 1,3 milioni di euro nella decarbonizzazione, con 650.000 euro per adattare la sua rete al biometano e altri 650.000 euro per adattare la rete all'idrogeno.

I vari piani dei concessionari di distribuzione del gas saranno in consultazione pubblica fino al 9 aprile. 

Poi l'ente regolatore del settore energetico (ERSE) compilerà questi contributi ed emetterà un parere.

Fonte: https://bit.ly/3sSITSI

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per il Portogallo)

 

Ultima modifica: Venerdì 5 Marzo 2021
Venerdì 5 Marzo 2021

Gli investitori stranieri rimangono ottimisti sul mercato vietnamita

Nonostante la recente recrudescenza della pandemia COVID-19, la maggior parte delle imprese straniere rimane ottimista per il 2021 con alcuni piani di espansione in Vietnam.

Per fare alcuni esempi, l'investitore straniero Foxconn Singapore Pte., Ltd. ha recentemente deciso di versare altri 23 milioni di dollari nella Fukang Technology Factory nella provincia settentrionale di Bac Ninh, portando il capitale di investimento totale di questo progetto a 293 milioni di dollari. Il progetto ha ottenuto licenze di investimento a metà gennaio. Foxconn, invece, sta reclutando 1.000 addetti all'assemblaggio elettronico per le sue fabbriche in Vietnam. I lavoratori lavoreranno presso i parchi industriali (IP) di Dinh Tram, Quang Chau, e Van Trung a Bac Giang e Que Vo IP a Bac Ninh. Inoltre, l'azienda sta reclutando 14 ingegneri addetti alla qualità dei fornitori. Secondo Zhuo Xianhong, direttore generale di Foxconn in Vietnam, il produttore taiwanese di componenti elettronici ha investito 1,5 miliardi di dollari in Vietnam, di cui 900 milioni nella sola provincia settentrionale di Bac Giang, creando posti di lavoro per oltre 35.000 lavoratori locali. Quest’anno mira a versare altri 700 milioni di dollari e a creare 10.000 posti di lavoro nel paese.

Il mercato locale conferma quindi la propria attratività per gli investitori stranieri nonostante la pandemia COVID-19 in corso.

Secondo i dati dell'Agenzia per gli investimenti esteri sotto il Ministero della Pianificazione e degli Investimenti, gli investimenti diretti esteri (FDI) in Vietnam hanno raggiunto 5,46 miliardi di dollari in gennaio e febbraio, pari all'84,4 per cento del corrispondente periodo dello scorso anno. Circa 126 progetti stranieri hanno ottenuto licenze di investimento con un capitale sociale totale di 3,31 miliardi di dollari, in calo del 33,9% su base annua. Nel frattempo, 115 progetti esistenti hanno adeguato il loro capitale di investimento con una somma aggiuntiva totale di 1,61 miliardi di dollari, 2,5 volte superiore al periodo dello scorso anno.

Infatti, il Vietnam ha attirato alcuni mega-progetti nei primi due mesi del 2021. La joint venture tra Vietnam Trading Engineering Construction JSC (Vietracimex) e Marubeni Corporation dal Giappone ha ricevuto ufficialmente il certificato di registrazione degli investimenti per la centrale termoelettrica 1.050MW O Mon II con il capitale preliminare di VND30.56 trilioni di miliardi (1,33 miliardi di dollari).

Al momento, il più grande investitore straniero del Vietnam è il Giappone con un capitale di investimento totale di 1,64 miliardi di dollari, pari al 30 per cento del totale. Singapore è arrivato secondo con 1,07 miliardi di dollari o 19,6 per cento, mentre la Corea del Sud era terzo con 1,05 miliardi di dollari o 19,3 per cento, seguita dalla Cina continentale, Hong Kong, e gli Stati Uniti.

Fonte: https://bit.ly/38bwMbx

 

(Contenuto editoriale a cura della Italian Chamber of Commerce in Vietnam (ICHAM))

 

Ultima modifica: Venerdì 5 Marzo 2021
Venerdì 5 Marzo 2021

Work-life balance: l’esempio della Danimarca

Secondo un’indagine sull’employer branding, condotta nel 2020 da Randstad, il work-life balance è in cima alla classifica dei fattori più importanti che un’azienda dovrebbe offrire ai propri dipendenti (Randstad, 2020). A tal proposito, la Danimarca rappresenta un ottimo esempio da cui prendere spunto.

Con il concetto di work-life balance si intende, generalmente, l'accettazione e il rispetto del diritto di un individuo di godere di una vita soddisfacente all'interno e all’esterno dell’ambiente di lavoro (Eurwork 2017 in Pegoraro, 2018). Questo concetto viene considerato sempre di più dai singoli come uno dei parametri più importanti per il raggiungimento del benessere all’interno del nucleo familiare (ibid.).

La Danimarca, in relazione al work-life balance, ricopre infatti una delle prime posizioni nella classifica stilata dall’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) - Better Life Index - che analizza indici diversi di benessere dei Paesi membri (OECD, 2019). Infatti, i dati suggeriscono che in Danimarca l’equilibrio tra vita privata e quella lavorativa è reso possibile da uno sviluppato sistema di welfare pubblico (Pegoraro, 2018).

Un aspetto indicativo dell’equilibrio tra lavoro e vita privata è la quantità di tempo trascorso sul posto di lavoro (Ranstad, 2020). Orari di lavoro estesi possono danneggiare la salute personale, creando affaticamento, sbalzi d'umore, irritabilità e diminuzione delle prestazioni lavorative (Forbes, 2018). Se, all’interno degli Stati membri dell’OECD, l’11% dei professionisti ha dei turni di lavoro più lunghi rispetto alla media, in Danimarca questo dato scende al 2%. Nel 2019, le ore medie annue effettivamente lavorate per dipendente si attestavano mediamente a 1380, quasi 350 ore in meno rispetto all’Italia (OECD, 2019).

Nella società danese è presente un forte interesse nel godere della propria vita familiare, integrando così la propria sfera affettiva a quella lavorativa (Business Insider, 2021). È molto frequente, infatti, avere degli orari di lavoro flessibili. I lavoratori in Danimarca, secondo i dati OECD più recenti, lavorano una media di 32,5 ore la settimana (MGMT Magazine, 2021). La giornata media lavorativa comincia alle 8 e finisce alle 16 (dal lunedì al venerdì).

La flessibilità oraria, tratto distintivo dell’organizzazione del lavoro in Danimarca, trova le sue basi nel senso di fiducia che i datori di lavoro hanno nei confronti dei propri dipendenti e collaboratori. L’importante non è, infatti, quando viene svolta una determinata attività: l’importante è che vengano raggiunti gli obiettivi prefissati, in maniera efficiente (ibid.).

L’esempio dello Stato danese suggerisce quindi, ove possibile, che l’ottenimento di ottimi risultati è raggiungibile anche attraverso una diversa gestione del tempo. La quantità e la qualità dello stesso sono importanti per il benessere dei lavoratori e possono generare concreti benefici per la salute fisica e mentale (OECD, Better Life Index).

Fonte: http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/13834/842044-1223783.pdf?sequence=2

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio italiana in Danimarca)

Ultima modifica: Venerdì 5 Marzo 2021
Venerdì 5 Marzo 2021

Il Portogallo rafforza la sua leadership mondiale nel settore del sughero

Attraverso un'analisi del contesto economico attuale (analisi flash dei principali settori dell'economia, incentrata su minacce, opportunità, debolezze e punti di forza) è emerso un ritratto delle performance del 2020 rispetto al 2019.

Nella diagnosi, analizzando le debolezze e le minacce, si nota come il settore del sughero abbia subito un impatto moderato dalla pandemia, con un calo del fatturato delle esportazioni di meno 4,7% nel 2020 (-0,3% nel 2019).

L'analisi evidenzia la presenza di minacce alle foreste di querce da sughero, le quali devono essere minimizzate (incendi, altre coltivazioni, pressione urbana).

Al contrario, per quanto riguarda i punti di forza e le opportunità, va notato che il Portogallo ha rafforzato la sua leadership mondiale con una quota delle esportazioni mondiali che sale al 62,7% nel 2020 (61,4% nel 2019).

Il margine di sicurezza dell'11,8% nel 2019, ha indicato un basso rischio economico ed una resilienza al calo delle esportazioni nel 2020, con il tempo critico di carenza di flusso di cassa (quattro mesi) che è più alto di quello stimato di 0,6 mesi, corrispondente all'interruzione dell'attività di esportazione.

La copertura del capitale di debito remunerato in soli 0,6 anni di EBITDA ricorrente mostra un rischio finanziario molto basso.

Le aziende a basso rischio di insolvenza rappresentano il 46% di tutte le aziende alla fine del 2020.

Nella prognosi, si evidenziano inoltre le vulnerabilità legate alle catene globali del valore a cui è legato il sughero, tra cui il settore delle bevande, che è stato fortemente indebolito dalla pandemia, così come i settori dell'edilizia e della moda, messi sotto pressione dalla continuità della pandemia nel 2021.

Per quanto riguarda il potenziale, bisogna notare che le aziende/gruppi di sughero hanno fatto uno sforzo notevole per diversificare le loro catene di valore e i loro clienti, resistendo con successo ai materiali sostitutivi artificiali grazie alla ricerca e allo sviluppo, che ha permesso di sviluppare il notevole potenziale del sughero come isolante naturale contro il fuoco, il calore e il rumore, aprendo così la porta alla navigazione spaziale.

Le minacce legate alle foreste di querce da sughero hanno dunque un grande potenziale per essere invertite, in particolare a causa della loro grande importanza come ecosistemi che rafforzano le catene di valore alimentare, turistico, culturale e ambientale.

Fonte: https://bit.ly/38aFo1U

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per il Portogallo)

 

Ultima modifica: Lunedì 29 Marzo 2021
Lunedì 1 Marzo 2021

Nel 2020 il Pil svizzero è sceso del 2,9%

Come previsto anche l’economia svizzera nel 2020 ha subito le conseguenze della pandemia da coronavirus, sebbene meno di quanto inizialmente temuto: il prodotto interno lordo (Pil) è sceso del -2,9% rispetto all’anno prima, registrando una contrazione superiore a quella dei tempi della crisi finanziaria del 2009 (-2,1%).

In comunicato diramato questa mattina dalla la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), si legge che bisogna risalire al 1975, epoca della crisi petrolifera, per ritrovare una flessione maggiore.

Ne frattempo la ripresa ha subito un rallentamento: nel quarto trimestre il Pil è salito del +0,3% rispetto ai tre mesi precedenti, a fronte di una progressione del +7,6% registrata nella terza parte dell’anno.

Fonte: https://bit.ly/3b7vYGc

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera)

 

Ultima modifica: Lunedì 1 Marzo 2021