Mercoledì 17 Dicembre 2025
Vai al Contenuto Raggiungi il piè di pagina
La vendemmia è in corso nella North Coast della California, con la speranza che entro l’uscita della vendemmia 2025 il mercato del vino e delle uve abbia toccato il fondo e inizi una ripresa. Per i produttori italiani, osservare l’andamento del mercato californiano rappresenta un utile esercizio di benchmarking, vista la rilevanza globale della California come player vitivinicolo.
Secondo i dati preliminari di bw166, nei 12 mesi terminati ad agosto 2025 il valore complessivo del mercato del vino negli Stati Uniti è cresciuto del 4%, superando i 112 miliardi di dollari, con un aumento del 3% solo ad agosto.
Importazioni e vendite: trend da osservare per l’Italia
Questi dati mostrano che i consumatori americani premiano ancora le fasce premium, mentre le categorie base soffrono. Un segnale importante anche per i produttori italiani che puntano al mercato USA.
Il segmento “fine wine” californiano in crisi
Il mercato dei fine wine californiani sta vivendo il calo più lungo degli ultimi anni: l’indice Liv Ex 1000 è sceso di oltre il 20% rispetto a due anni fa, tornando ai livelli del 2021.
Nonostante ciò, alcuni marchi californiani hanno guadagnato posizioni nella nuova classificazione Liv Ex:
Il problema resta la scarsa domanda di nuove annate, mentre vini di 10–15 anni fa si trovano a prezzi simili, rallentando le vendite e creando eccedenze di inventario.
(Contributo editoriale a cura della Italy-America Chamber of Commerce of Texas, Inc.)
Giovedì 19 giugno 2025, Christian Estrosi, sindaco di Nizza e presidente della Métropole Nice Côte d’Azur, Renaud Muselier, presidente della Regione Provence-Alpes-Côte d’Azur, e Laurent Hottiaux, prefetto delle Alpi Marittime, hanno ufficialmente avviato i lavori della futura stazione multimodale Nice-Aéroport, sul sito dell’attuale stazione di Nice Saint-Augustin, nel cuore del quartiere del Grand Arénas. Questa infrastruttura strategica, la cui entrata in servizio è prevista per la fine del 2029, rientra nella prima fase della Ligne Nouvelle Provence Côte d’Azur (LNPCA) e mira a migliorare in modo significativo gli spostamenti ferroviari sulla Costa Azzurra.
Progettata da SNCF Gares & Connexions e dallo studio pluridisciplinare AREP, la stazione si distingue per un’architettura bioclimatica unica in Europa: una vasta pensilina in legno (con pannelli fotovoltaici) coprirà l’atrio, completata da 4.200 m² di spazi paesaggistici che formeranno una vera e propria isola di frescura, con quasi 100 alberi e 300 arbusti. L’insieme è concepito per limitare le isole di calore, ridurre le emissioni di CO₂ e produrre energia rinnovabile.
Vero e proprio polo di interscambio, Nice-Aéroport collegherà, in un unico luogo, TER e TGV, le linee 2 e 3 del tram, la futura autostazione, l’aeroporto Nice Côte d’Azur e la rete ciclabile metropolitana. In una prima fase, 4 binari a banchina permetteranno di accogliere fino a 6 treni all’ora, con un potenziale di estensione a 6 binari. Laddove le banchine erano in precedenza troppo corte per i convogli a lunga percorrenza, la nuova configurazione offrirà, in particolare, collegamenti TGV diretti fino a Parigi, senza cambi. «Questa sinergia delle modalità di trasporto è una risposta concreta alle sfide ecologiche e alla mobilità di domani», sottolinea Christian Estrosi.
Il traffico passeggeri previsto è di 3,8 milioni di viaggiatori all’anno (circa 10.000 al giorno). Dal 2032, la frequenza dei TER passerà a un treno ogni dieci minuti (contro i quindici attuali), contribuendo all’obiettivo regionale di aumentare del 36% il numero di viaggiatori ferroviari entro il 2035. «Entro i Giochi 2030 offriremo più treni, maggiore fluidità e un collegamento diretto tra treno, tram e aeroporto», ricorda Renaud Muselier.
L’infrastruttura svolgerà infatti un ruolo chiave in occasione dei Giochi Olimpici e Paralimpici invernali del 2030.
Il costo totale dell’operazione ammonta a 271,2 milioni di euro, finanziati dallo Stato, dall’Unione europea e dagli enti locali riuniti all’interno della Société de la LNPCA.
La committenza è assicurata da SNCF Réseau, con un contributo pluri-annuale massimo di 56,79 milioni di euro da parte della Métropole Nice Côte d’Azur fino al 2035. Dal 2022, una stazione provvisoria Saint-Augustin garantisce la continuità del servizio; lascerà il posto, all’orizzonte 2029, a questa stazione di riferimento dell’intermodalità della Costa Azzurra.
Questa nuova stazione si inserisce anche in un ampio progetto regionale che comprende in particolare la Ligne Nouvelle Provence-Côte d’Azur, che prevede una linea senza cambi Nizza-Parigi, ma anche TER ogni 10 minuti invece di 15 a partire dal 2032.
Da diversi anni, studi indipendenti sui flussi convergono su un punto: all’Aeroporto Nice Côte d’Azur la domanda cresce più rapidamente della capacità effettiva dei terminal. In altre parole, gli spazi attuali non bastano più a garantire, nelle ore di punta, il livello di comfort, sicurezza e fluidità atteso. Il campanello d’allarme era suonato già prima della crisi sanitaria: con una capacità dichiarata di 14 milioni di passeggeri l’anno per i terminal 1 e 2, tale soglia è stata superata già nel 2019, generando inevitabilmente tensioni sulla qualità del servizio.
Infatti, nell’arco di dieci anni, dal 2012 al 2023, il traffico passeggeri è aumentato del 27%. Ciò dimostra la reale necessità di incrementare la capacità di accoglienza, che si stima raggiungerà i 18 milioni una volta attuato il progetto; al tempo stesso, evidenzia anche una sfida ecologica e turistica: la necessità di far fronte a un afflusso di visitatori che cresce di anno in anno.
Occorre distinguere la capacità “teorica” da quella “operativa”. La prima deriva dal dimensionamento delle superfici e delle attrezzature; la seconda dipende dal funzionamento reale: picchi stagionali, allungamento dei controlli, rapide rotazioni dei voli, saturazione puntuale delle sale d’imbarco, nastri bagagli, varchi di ispezione-filtraggio, viabilità di accesso, ecc. Senza adeguamenti, si può certamente far transitare un numero maggiore di viaggiatori… ma al prezzo di attese più lunghe, percorsi congestionati, un’esperienza a terra peggiorata e una maggiore pressione su sicurezza e puntualità.
L’aeroporto è anche la porta d’ingresso di un territorio d’eccezione. Deve rifletterne l’immagine, l’eccellenza e l’ospitalità: offrire una prima e un’ultima impressione all’altezza della destinazione, tanto per i visitatori quanto per i residenti.
Per questo si è deciso di aumentare la capacità dei terminal, così da accogliere i passeggeri in condizioni adeguate di comfort e sicurezza. Il progetto dovrà riportare un elevato livello di servizio nelle ore di punta (code contenute, percorsi chiari, imbarco più fluido, restituzione dei bagagli accelerata) e, al contempo, guadagnare in resilienza operativa di fronte agli imprevisti (ritardi a catena, riprogrammazioni, controlli rafforzati) grazie a margini di assorbimento; infine, dovrà accompagnare una crescita prevedibile e sotto controllo del traffico, in coerenza con il posizionamento internazionale della piattaforma e con l’ecosistema turistico ed economico della Costa Azzurra.
Tuttavia, numerose campagne come “Stop à l’extension de l’aéroport de Nice” sostengono che l’ampliamento sarebbe catastrofico dal punto di vista economico. L’afflusso di turisti potrebbe infatti generare un aumento significativo dei prezzi, ad esempio dei prodotti alimentari e nel settore immobiliare. Ma soprattutto dal punto di vista ecologico, poiché l’ampliamento dell’aeroporto comporterebbe maggiori inquinamenti acustici e atmosferici e potrebbe trasformare Nizza in una città vittima del proprio successo a causa del sovra turismo.
In sintesi, l’ampliamento non ha lo scopo di «riempire a tutti i costi», ma di riportare l’esperienza del passeggero e la sicurezza al livello atteso, di allineare l’aeroporto agli standard internazionali e di garantire, nel tempo, un funzionamento fluido e affidabile, nel rispetto dei vincoli ecologici imposti.
(Contributo editoriale a cura della Chambre de Commerce Italienne Nice, Sophia-Antipolis, Cote d'Azur)
L’Australia rappresenta un mercato interessante per l’export di prodotti elettrici ed elettronici, ma al tempo stesso uno dei più rigorosi in termini di sicurezza e standard tecnici. Qualsiasi dispositivo che funzioni con corrente elettrica o connesse reti di comunicazione - dall’illuminazione agli elettrodomestici, fino agli strumenti industriali - deve rispettare la normativa locale e riportare il marchio RCM (Regulatory Compliance Mark), garanzia che il prodotto è conforme agli standard australiani di sicurezza elettrica, compatibilità elettromagnetica (EMC) e, in alcuni casi, efficienza energetica.
Per ottenere l’autorizzazione all’immissione sul mercato, l’importatore o il produttore deve innanzitutto registrarsi presso l’Australian Communications and Media Authority (ACMA) o l’Electrical Regulatory Authorities Council (ERAC), a seconda della tipologia di prodotto. Una volta registrato, è necessario predisporre e conservare una dichiarazione di conformità corredata da rapporti di prova rilasciati da laboratori accreditati, in grado di dimostrare che il dispositivo soddisfa i requisiti tecnici.
Le fasi principali del processo comprendono:
Classificazione del prodotto, per determinare se rientra tra gli articoli a rischio basso, medio o alto e identificare le norme specifiche applicabili.
Test di laboratorio, finalizzati a verificare la sicurezza elettrica, l’interferenza elettromagnetica e, in alcuni casi, i parametri energetici.
Registrazione e apposizione del marchio RCM, che diventa obbligatorio sull’etichetta o sulla confezione prima della distribuzione sul mercato australiano.
Un aspetto rilevante per le imprese italiane è che la responsabilità legale della conformità spetta sempre al soggetto locale che importa o distribuisce i prodotti in Australia. Per questo, è fondamentale selezionare partner affidabili in loco, capaci di gestire correttamente la documentazione tecnica e garantire la tracciabilità del prodotto.
Dal punto di vista commerciale, l’allineamento agli standard australiani, sebbene richieda tempo e risorse, può trasformarsi in un vantaggio competitivo: la certificazione RCM rappresenta infatti un segnale di affidabilità e qualità che rafforza la credibilità del brand agli occhi di distributori e consumatori. Inoltre, un prodotto già conforme in Australia trova più facilmente accesso anche ad altri mercati che adottano requisiti simili in materia di sicurezza ed EMC.
Per le imprese italiane interessate al settore elettronico ed elettrodomestici, investire nella compliance normativa non è soltanto un obbligo, ma anche un’opportunità per consolidare la propria presenza internazionale in un mercato attento alla sicurezza e all’innovazione tecnologica.
(Contributo editoriale a cura della Italian Chamber of Commerce and Industry in Australia inc.)
La Cámara de Comercio Italiana de Rosario ha svolto un ruolo di primo piano al Santa Fe Business Forum 2025, evento che si è confermato come uno degli appuntamenti più rilevanti per la proiezione internazionale delle imprese della regione.
Grazie a un intenso lavoro di coordinamento, la Camera è riuscita a portare a Rosario oltre 20 buyer internazionali, provenienti da Europa, America Latina e Asia. La loro presenza ha reso possibile una fitta agenda di incontri B2B con imprese locali, che hanno potuto presentare i propri prodotti e servizi in settori chiave come l’agroalimentare, la meccanica, la biotecnologia e le energie rinnovabili.
La Camera, inoltre, ha partecipato come espositore il 3 settembre, presentando le strumenti di investimento dell’Italia e illustrando le opportunità che il Sistema Italia mette a disposizione delle imprese straniere interessate a rafforzare i propri processi di internazionalizzazione.
Il Forum ha rappresentato un’occasione unica per favorire lo scambio commerciale e creare nuove partnership, ponendo la città di Rosario e la provincia di Santa Fe al centro di un dialogo globale sulle prospettive di investimento e cooperazione.
L’iniziativa ha rafforzato il ruolo della Camera di Commercio Italiana di Rosario quale attore strategico nel promuovere il Sistema Italia all’estero e nel favorire la connessione tra imprese italiane e argentine. Con la sua azione, la Camera ha contribuito non solo a valorizzare il “Made in Italy” ma anche a costruire ponti concreti per l’internazionalizzazione delle PMI locali.
Il successo del Santa Fe Business Forum conferma così l’importanza di creare spazi di confronto e collaborazione internazionale, capaci di stimolare nuovi investimenti, incoraggiare l’innovazione e rafforzare la competitività delle imprese nel contesto globale.
(Contributo editoriale a cura della Cámara de Comercio Italiana de Rosario)
Il settore calzaturiero brasiliano si trova oggi in un passaggio cruciale della sua traiettoria internazionale. Negli ultimi mesi, le esportazioni verso il principale mercato estero, gli Stati Uniti, hanno subito un contraccolpo significativo a causa dell’imposizione di un “tarifaço” che ha reso molte operazioni commerciali praticamente inviabili. Secondo i dati diffusi da Abicalçados, l’associazione che rappresenta i produttori locali, solo nel mese di agosto 2025 le vendite di calzature brasiliane verso il mercato statunitense hanno registrato una contrazione del 17,6% in volume, con poco più di 800 mila paia spediti, e una riduzione dell’1,4% in valore, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Il quadro complessivo evidenzia come, nei primi otto mesi dell’anno, il Brasile abbia esportato 67,5 milioni di paia, un dato che rappresenta una crescita del 5,7% in termini di volume, ma accompagnato da una riduzione dello 0,6% nel valore complessivo. Tale scollamento tra quantità e ricavi segnala una pressione crescente sui margini delle imprese, che si trovano costrette a competere in un contesto globale caratterizzato da dazi più onerosi e da un’elevata concorrenza, soprattutto asiatica. A ciò si aggiunge la preoccupazione per l’incremento delle importazioni sul mercato interno, provenienti in larga parte dalla Cina e dal Vietnam, con prodotti a prezzi aggressivi che rischiano di compromettere ulteriormente la competitività dei marchi brasiliani.
In questo scenario complesso, il settore ha trovato una valvola di sfogo e nuove prospettive attraverso la partecipazione alle fiere internazionali, con la Micam di Milano che si è rivelata un appuntamento strategico. Nella sua centesima edizione, svoltasi dal 7 al 9 settembre 2025, ben ottanta marchi brasiliani hanno presentato le loro collezioni grazie al sostegno del programma Brazilian Footwear, promosso da Abicalçados in collaborazione con ApexBrasil. I risultati immediati sono stati incoraggianti: durante i tre giorni dell’evento sono stati venduti oltre 433 mila paia, generando un fatturato di circa 46 milioni di reais. Ma il vero impatto si misura nelle prospettive future, con ordini attesi che dovrebbero superare 1,28 milioni di paia e un giro d’affari stimato in oltre 119 milioni di reais.
La partecipazione alla Micam non ha solo valore commerciale, ma rappresenta un passo importante nella costruzione di una strategia di diversificazione dei mercati. Per molte aziende, Milano è stata un trampolino verso nuovi orizzonti, in particolare in Europa, dove Paesi come Germania, Francia e Polonia si profilano come destinazioni capaci di compensare almeno in parte la perdita di competitività negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, la fiera offre alle imprese brasiliane un’occasione per posizionarsi come marchi non soltanto di volume, ma di design, innovazione e sostenibilità, elementi sempre più centrali nelle scelte dei consumatori globali.
Il settore calzaturiero brasiliano si trova dunque di fronte a una sfida di natura duplice: gestire i rischi congiunturali legati alle barriere commerciali e alla concorrenza internazionale e, al contempo, cogliere le opportunità derivanti dall’internazionalizzazione e dalla valorizzazione del proprio marchio come espressione di qualità e creatività. La risposta passa da politiche pubbliche mirate, in grado di sostenere l’export e negoziare condizioni più favorevoli, ma anche da un impegno deciso delle imprese a innovare, a differenziare i propri mercati e a rafforzare la propria capacità produttiva e logistica.
In un contesto globale incerto, la resilienza e la capacità di adattamento determineranno se la crisi legata ai dazi statunitensi si trasformerà in un ostacolo insormontabile o in un catalizzatore di nuove opportunità. La Micam di Milano ha dimostrato che, al di là delle difficoltà immediate, il calzaturiero brasiliano può trovare in Europa e in altri mercati internazionali le basi per un rilancio duraturo.
(Contenuto editoriale a cura della Camera Italo-Brasiliana di Commercio e Industria di Rio de Janeiro)
Nel panorama europeo dell’innovazione, Italia e Svizzera rappresentano due realtà molto diverse ma potenzialmente complementari. Se da un lato la Svizzera si conferma da oltre 14 anni come uno degli ecosistemi più avanzati al mondo, l’Italia sta vivendo una fase di crescita significativa, pur partendo da una base più fragile e frammentata.
Numeri a confronto: investimenti e startup
Nel 2024, gli investimenti in startup tech in Svizzera hanno superato i 2,4 miliardi di franchi, mentre in Italia si sono fermati a 1,07 miliardi di franchi (circa 1,13 miliardi di euro). Nonostante il divario, l’Italia ha registrato una crescita del +7,5% rispetto all’anno precedente, segno di un fermento crescente.
Il numero di startup innovative riflette questa differenza: oltre 26.000 in Svizzera contro poco più di 12.000 in Italia. Eppure, considerando che l’Italia ha sei volte la popolazione e tre volte il PIL della Confederazione, il gap evidenzia quanto l’ecosistema elvetico sia più maturo e strutturato.
Distribuzione territoriale: Lombardia vs Zurigo
Uno degli aspetti più interessanti dell’ecosistema dell’innovazione è la distribuzione geografica degli investimenti, che rivela molto sulla maturità e l’equilibrio di un sistema Paese.
Nel 2024, la Regione Lombardia ha registrato 659 milioni di CHF in investimenti in startup tech, superando persino il Cantone di Zurigo, che si è fermato a 632 milioni di CHF. Questo dato, sorprendente a prima vista, evidenzia la forza attrattiva di Milano come hub tecnologico e finanziario, ma anche la forte concentrazione territoriale degli investimenti in Italia.
Infatti, dopo la Lombardia, il divario è netto: la Toscana ha raccolto 102 milioni di CHF, il Lazio 73 milioni e il Piemonte 65 milioni. Il resto del Paese rimane molto frammentato, con un ecosistema ancora in fase di consolidamento e con forti disparità tra Nord e Sud.
In Svizzera, invece, pur con Zurigo che catalizza circa un terzo degli investimenti nazionali, il sistema è molto più bilanciato. Poli come Losanna, Ginevra, Basilea e Berna contribuiscono in modo significativo, con un totale di 760 milioni di CHF investiti nel 2024. Questo dimostra una maggiore distribuzione della capacità innovativa e una rete di ecosistemi regionali interconnessi, spesso legati a università di eccellenza e cluster industriali verticali.
Ecosistemi regionali a confronto: alcuni esempi pratici
In Italia, Milano concentra gran parte delle risorse, ma stanno emergendo anche poli come:
Questa analisi evidenzia come la distribuzione territoriale degli investimenti sia un indicatore chiave della maturità di un ecosistema. La Svizzera, pur più piccola, mostra una maggiore coesione e diffusione dell’innovazione, mentre l’Italia ha bisogno di rafforzare i poli emergenti e colmare il divario territoriale per rendere il sistema più resiliente e competitivo.
Complementarità strategica: una relazione win-win
Nonostante le differenze, i due Paesi presentano forti complementarità che possono trasformarsi in opportunità concrete:
Un ponte per l’innovazione tra Nord e Sud Europa
La collaborazione tra Italia e Svizzera nel settore tech non è solo auspicabile, ma necessaria. L’Italia può beneficiare della solidità e della rete internazionale svizzera, mentre la Svizzera può trovare nel dinamismo industriale italiano un terreno fertile per espandere la propria offerta tecnologica.
Come ha sottolineato Fabrizio Macrì, Segretario Generale della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera: “La tecnologia è lo stimolo che può aiutare le imprese italiane a recuperare competitività. La Svizzera, con il suo ecosistema avanzato, può essere un partner strategico per questa trasformazione”.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera)
Il bando Elegrid del Fondo di Modernizzazione riceverà dieci miliardi di corone per finanziare i progetti di potenziamento della rete di trasmissione. Il bando potrà ricevere altri cinque miliardi di corone, qualore le aziende avranno progetti da finanziare.
Con il finanziamento lo stato vuole potenziare la rete elettrica di sei gigawatt permettendo ad esempio l'allaccio di un maggior numero di centrali a fonte rinnovabile. “Il potenziamento della rete elettrica è tra le condizioni di base per la decarbonizzazione dell'economia ceca” ha indicato il ministro dell'ambiente Petr Hladik.
Fonte: mzp.gov.cz
Circa il 30% delle aziende in Repubblica Ceca pensa di assumere nuovo personale nel quarto trimestre. Lo indica l'indagine tra le imprese di ManpowerGroup Czech Republic, socio Camic.
Prevede invece una riduzione del personale il 16% delle aziende. L'indice è quindi positivo di 14 punti percentuali, circa due punti in meno rispetto al trimestre precedente. Il dato è sostanzialmente lo stesso a Praga, in Boemia e in Moravia.
“L'ultimo trimestre è di solito il periodo più debole per le assunzioni, ma quest'anno registriamo delle differenze stagionali più ridotte” ha indicato la direttrice dell'agenzia HR Jaroslava Rezlerová. Registrano la maggiore propensione ad assumere i settori dell'energetica e della sanità, dall'altra parte della classifica ci sono i settori dei trasporti e della pubblica amministrazione.
Fonte: ceskenoviny.cz
Il gruppo Ferrero ha deciso di sostenere un progetto di Save the Children in Costa d'Avorio a favore dei bambini nelle comunità dei produttori di cacao.
Il progetto verrà realizzato da Save the Children nel paese africano fino al 2030. Le spese complessive di 20 milioni di euro verranno coperte per oltre l'80% dal contributo del gruppo Ferrero e dai finanziamenti dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
Il programma intende rafforzare i diritti dell'infanzia nelle comunità produttrici di cacao. Il progetto è secondo la Ferrero un “passo importante verso un ecosistema del cacao più sostenibile”. “Lavorando insieme lungo l’intera filiera del cacao, miriamo a costruire una supply chain trasparente, inclusiva e duratura,” ha indicato Isabel Hochgesand, Global Chief Procurement Officer di Ferrero.
Fonte: savethechildren.it
La giunta di Praga Capitale ha lanciato un nuovo progetto di edilizia residenziale tra Praga 4 e 12.
La giunta ha dato il mandato alla società municipale PDS di preparare un progetto di edilizia di social housing nelle vicinanze della futura stazione metro D Nové Dvory. Il progetto prevede la realizzazione di circa 480 appartamenti e di spazi per servizi sociali e sanitari. “Il nostro obiettivo è di avere abitazioni dignitose e accessibili per insegnanti, lavoratori della sanità, famiglie e anziani” ha indicato il sindaco di Praga Capitale Bohuslav Svoboda.
La PDS quindi dovrà preparare la progettazione per la realizzazione degli stabili e si occuperà dei permessi necessari per avviare la costruzione.
Fonte e fonte fotografia: praha.eu
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio e dell'Industria Italo-Ceca)
La nostra città compie un notevole balzo in avanti nel palmarès delle destinazioni studentesche: secondo la rivista L’Étudiant, si colloca ora all’11ª posizione. Si tratta di un guadagno di 15 posti tra il 2024 e il 2025, accompagnato da un marcato aumento della soddisfazione: l’83% degli studenti si dichiara soddisfatto, contro il 74% dell’anno scorso.
Questo progresso riflette uno sforzo collettivo di lungo periodo, portato avanti con gli attori della vita studentesca, dell’istruzione superiore e del tessuto economico, per fare di Nizza una vera e propria città universitaria. In quindici anni, gli iscritti sono raddoppiati: da 25.000 a quasi 50.000 studentesse e studenti formati sul posto.
Dal 2008, il territorio nizzardo si è sviluppato e ha conosciuto una vera trasformazione sul piano universitario. Il territorio metropolitano dispone di un ecosistema attrattivo, che ha consentito di migliorare le condizioni di studio e l’inserimento professionale degli studenti a Nizza.
Eppure Nizza non era una città universitaria; oggi brilla a livello internazionale.
Effettivamente venerdì 15 agosto è stata pubblicata anche una delle classifiche di riferimento del mondo accademico: l’Academic Ranking of World Universities, noto come “classifica di Shanghai”. Essa conferma la buona tenuta della Francia in una competizione internazionale molto esigente. A Nizza, l’Université Côte d’Azur figura nuovamente tra le prime 500 università mondiali nel 2025, risultato di una strategia accademica coerente e di una ricerca riconosciuta.
Collocata nella fascia 401–500, la nostra università si affianca a Tolosa, Lille e Rennes. Disciplina per disciplina, si distingue in particolare nelle scienze della Terra (76–100), in fisica (101–150), in matematica (151–200), in biologia (201–300), in farmacia (201–300), in informatica (301–400) e in medicina (301–400).
A livello nazionale, 27 istituti francesi compaiono in classifica, due in più rispetto al 2024 come ha sottolineato il ministero dell’Istruzione superiore e della Ricerca.
Paris-Saclay resta la prima università francese (13ª mondiale, 3ª europea), davanti a PSL (34ª), Sorbonne Université (43ª) e Université Paris Cité (60ª). La Francia conta inoltre otto istituti nella top 200, tra cui Strasburgo, Aix-Marseille, Grenoble-Alpes e Montpellier.
Due università fanno il loro ingresso quest’anno: Versailles–Saint-Quentin-en-Yvelines e Picardie Jules-Verne (Amiens).
Per il ministero, questa presenza ampliata illustra la qualità della scienza francese e il riconoscimento internazionale dei nostri ricercatori. Testimonia anche l’efficacia delle politiche di consolidamento avviate da oltre dieci anni: finanziamenti dedicati (PIA, France 2030, Idex, I-Site) e facilitazioni dei raggruppamenti hanno permesso di passare da 18 istituti classificati nel 2003 a 27 oggi, con un progresso del 50% in vent’anni.
(Contributo editoriale a cura della Chambre de Commerce Italienne Nice, Sophia-Antipolis, Cote d'Azur)
La Danimarca è conosciuta nel mondo come la patria dell’energia eolica. Le pale che svettano lungo le coste e nelle campagne hanno reso il Paese un simbolo della transizione verde.
Molto meno noto è invece il percorso del fotovoltaico: pur in crescita, il solare resta oggi una risorsa sottoutilizzata rispetto al suo potenziale. Secondo l’Agenzia danese per l’energia, la capacità installata ha superato i 4 gigawatt a metà del 2025 e oggi fornisce circa l’11% dell’elettricità nazionale. Si tratta di numeri importanti, ma ancora insufficienti se confrontati con gli obiettivi climatici fissati dal governo, che punta a quadruplicare la produzione di solare e vento a terra entro il 2030.
Il paradosso sta nel fatto che, nonostante il calo dei costi e l’ampio sostegno dell’opinione pubblica, diversi fattori continuano a frenare la diffusione del fotovoltaico. Per anni i comuni hanno dovuto affrontare procedure burocratiche complesse, come l’obbligo di costituire società intermediarie o di elaborare calcoli energetici complicati, che hanno reso più difficile installare pannelli su scuole, piscine o municipi. Anche le normative edilizie hanno spesso agito da freno: nelle valutazioni ufficiali, i pannelli non ricevono un pieno riconoscimento dei benefici futuri e in certi casi finiscono addirittura per peggiorare i bilanci climatici degli edifici. A questo si sommano le incertezze economiche, con operatori che denunciano il rischio di tariffe e oneri per l’uso della rete in forte aumento, e i limiti legali che vincolano i pannelli agli edifici su cui vengono installati, complicando modelli di finanziamento innovativi come leasing o consorzi. Infine, la rete elettrica nazionale non è ancora pronta ad assorbire senza difficoltà quantità crescenti di elettricità prodotta in modo variabile.
Paradossalmente, il freno non arriva dai cittadini. I danesi sono tra i più favorevoli d’Europa all’uso del fotovoltaico: oltre il 90% si dichiara a favore dell’installazione di pannelli su tetti industriali. È dunque evidente che il problema è più politico e regolatorio che culturale. Proprio per questo la riforma annunciata dal governo è stata accolta con favore: dal 2026 i comuni potranno installare pannelli senza dover passare per intermediari e senza calcoli ridondanti. Il costo stimato per lo Stato è di 400 milioni di corone, ma si prevede che nel lungo periodo i risparmi per le amministrazioni locali saranno ben superiori. Parallelamente, sono allo studio nuove regole per separare la proprietà dei pannelli da quella degli edifici, così da aprire la porta a strumenti di finanziamento più flessibili.
Gli esperti indicano tre priorità per accelerare la rivoluzione solare: procedure più snelle e uniformi, accesso facilitato al credito e soprattutto investimenti nella rete elettrica, con smart grid e sistemi di accumulo capaci di integrare la variabilità della produzione. In gioco non c’è soltanto la sostenibilità, ma anche l’autonomia energetica dei comuni e la possibilità di reinvestire i risparmi in welfare locale.
Il futuro del fotovoltaico in Danimarca non è scritto, ma la direzione è chiara. Il Paese ha già dimostrato con l’eolico di saper guidare la transizione a livello globale; se le riforme promesse saranno attuate con decisione, i tetti di città e campagne potranno presto brillare di pannelli solari, trasformando un potenziale ancora inespresso in una forza concreta. Il 2030 si avvicina e con esso la sfida di coprire interamente il fabbisogno elettrico con fonti rinnovabili. Per riuscirci, la Danimarca non potrà fare a meno del sole.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio italiana in Danimarca)
Nel primo semestre del 2025, l’economia della regione Nordeste ha consolidato un trend positivo, ma è il Ceará a distinguersi per performance leggermente superiori alla media regionale. È quanto emerge dall’ultimo studio dell’Escritório Técnico de Estudos Econômicos do Nordeste (Etene) del Banco do Nordeste (BNB), che monitora l’evoluzione economica dell’area mediante l’Indice di Attività del Banco Central per il Nordeste (IBCR-NE).
Secondo il rapporto, l’IBCR-NE ha registrato una crescita del 2,4% nella regione nei primi sei mesi dell’anno; su base annuale, l’aumento raggiunge il 3,8%, lievemente al di sotto della media nazionale che si attesta al 3,9%.
Il Ceará ha segnato un incremento del 2,6% nel semestre, superando così la media del Nord-Est, pur senza allontanarsi di molto da essa. Questo risultato conferma la presenza, nello Stato, di «fondamentali solidi», anche se il rapporto del BNB sottolinea la necessità di potenziare quei settori con maggiore valore aggiunto e di ridurre la dipendenza da mercati esteri.
L’analisi evidenzia notevoli divari all’interno della regione. Bahia emerge come la più dinamica, con una crescita semestrale del 3,9%, favorita da una base produttiva diversificata e condizioni climatiche favorevoli al comparto agricolo.
Al contrario, Pernambuco registra una flessione dello 0,3% nel semestre, a causa del minore dinamismo in agricoltura e industria, e di una evidente decelerazione nei servizi.
Per il resto del 2025, le prospettive per l’economia nordestina restano di crescita moderata. Elementi propulsivi includono il rafforzamento dell’agro-business, in particolare in Bahia e alcune aree del Ceará, investimenti in infrastrutture logistiche ed energetiche, e il progresso nei settori industriali e dei servizi con potenziale export.
Tuttavia, permangono rischi concreti: la forte dipendenza dalle condizioni climatiche, la volatilità dei prezzi internazionali, e la possibilità che politiche protezioniste nei mercati esteri ostacolino le esportazioni. Internamente, alcuni settori soffrono per l’accesso al credito e per la mancanza di diversificazione produttiva.
Articolo elaborato con informazioni tratte dal Diário do Nordeste
(Contenuto editoriale a cura della Camera Italo-Brasiliana di Commercio e Industria di Rio de Janeiro)