Notizie mercati esteri

Giovedì 23 Dicembre 2021

Un nuovo corso per i rapporti linguistici tra Italia e Francia

Il 26 novembre il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio Mario Draghi hanno firmato, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il “Trattato tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Francese per una cooperazione bilaterale rafforzata”, il cosiddetto “trattato del Quirinale”, un trattato di cooperazione tra Francia e Italia che segna un importante cambiamento nelle relazioni tra i due paesi e che rappresenta un momento politicamente significativo. Tra le altre cose, il trattato affronta in maniera approfondita i rapporti linguistici tra Italia e Francia.

A tal proposito, è importante ricordare come sia la lingua italiana che quella francese debbano avere vicendevolmente una grande importanza nei due stati, nonché paesi transfrontalieri e importanti mete turistiche. Ciononostante, in Italia solo l’8.46% della popolazione parla francese mentre l’italiano è parlato dal 6% dei francesi. Alla luce di questi dati, si può dunque constatare che rispetto alle altre lingue, il numero di persone che utilizzano il francese e l’italiano non è rilevante come si potrebbe pensare.

Dunque, è per questa ragione che i due capi di stato hanno annoverato tra gli articoli del nuovo trattato anche norme specifiche riguardanti il tema della lingua. Infatti, al fine di favorire la diffusione e il reciproco apprendimento delle rispettive lingue, le Parti realizzano azioni di promozione linguistica e sostengono lo sviluppo dell’insegnamento della lingua italiana e della lingua francese nei rispettivi Paesi. In questo quadro, esse prestano particolare attenzione alla formazione e alla mobilità dei docenti e degli studenti che intendono intraprendere la carriera di docente (articolo 8.2).

La norma sottolinea la necessità di incentivare una maggiore conoscenza della lingua francese in Italia e viceversa, creando, tra le diverse attività possibili, anche uno spazio comune di scambio tra studenti. L’importanza del plurilinguismo diviene fondamentale, soprattutto in un mondo globalizzato in cui le distanze divengono sempre minori. Ma l’invito al reciproco studio non si arresta alla semplice esortazione, ma si estende fino alla definizione di una maggiore attività nel campo del bilinguismo tra regioni transfrontaliere e nell’utilizzo della lingua nella vita di tutti i giorni. Un plurilinguismo coltivato in Costa Azzurra grazie al ruolo promotore della Camera di Commercio Italiana a Nizza e del suo Centro di formazione linguistica, ma anche in regioni storicamente legate come la Savoia o la Corsica, che ne potrebbero approfittarne per rilegare i rapporti con la comunità italiana e risocializzare con gli italiani immigrati sul posto.

Le Parti favoriscono la formazione dei parlanti bilingue in italiano e in francese nelle regioni frontaliere, valorizzando in tal modo l’uso delle due lingue nella vita quotidiana e studiano congiuntamente le evoluzioni dello spazio frontaliero, mettendo in rete i loro organismi di osservazione territoriale.

Quindi, non solo inglese, ma anche tanto italiano e francese. Due lingue che uniscono le proprie forze intrinseche, fatte di arte e tradizione, per ridare slancio alla cultura. Infatti, come recita il Trattato, [Italia e Francia] s’impegnano a facilitare le coproduzioni di opere culturali, in particolare cinematografiche, audiovisive e nelle arti sceniche, e a valutare la possibilità della loro distribuzione attraverso una piattaforma culturale comune. Esse incoraggiano la reciproca partecipazione alle principali manifestazioni di rilievo internazionale. Esse facilitano le collaborazioni nei settori degli spettacoli dal vivo, del design, dell’architettura e della moda. Esse incoraggiano la traduzione di opere letterarie nelle rispettive lingue. Esse s’impegnano a favorire la mobilità degli artisti e degli autori tra i due Paesi, in particolare mettendo in contatto le istituzioni incaricate della formazione e incoraggiando lo sviluppo di residenze (articolo 9.2).

Cinema, moda, spettacolo e architettura diventano i vettori previlegiati degli scambi tra i due paesi, che, data la propria ricchezza, possono aspirare a diventare un’unica superpotenza culturale. Ma sono le ultime mosse francesi a segnalare la fervente volontà di muoversi in questo senso. Infatti, al fine di creare un vero e proprio asse europeo capace di fare concorrenza alle piattaforme americane come Netflix, Amazon Prime e Disney +, i Francesi hanno lanciato Salto, la piattaforma di streaming che vede la collaborazione di TF1, France Télévisions e M6.

Fonte: https://bit.ly/3J35uVx

 

(Contenuto editoriale a cura della Chambre de Commerce Italienne Nice, Sophia-Antipolis, Cote d'Azur)

 

Ultima modifica: Giovedì 23 Dicembre 2021
Giovedì 23 Dicembre 2021

Cresce il numero dei Paesi europei che scelgono il mercato turco come alternativa a quello asiatico per delocalizzare le proprie attività produttive

L’impatto della pandemia sulla economia mondiale ha avuto conseguenze pesanti per ogni settore produttivo. Tali cambiamenti hanno costretto molti Paesi europei a spostare la loro produzione e diversificare gli abituali canali di approvvigionamento anche a causa del forte incremento delle spese di trasporto marittimo. I recenti casi del colosso svedese “IKEA” e il retail di abbigliamento polacco “LPP” che hanno manifestato l’intenzione di sposare in Turchia gran parte della loro produzione per far fronte ai problemi con le loro abituali catene di approvvigionamento, ne sono uno dei tanti esempi.

A questi si aggiungono i casi del colosso farmaceutico tedesco “Boehringer Ingelheim”, l'azienda di packaging belga “DW Reusables” e la Giapponese “Daikin”, già presenti in Turchia ma che hanno anch’essi annunciato nuovi IDE attraverso l’acquisizione di quote di aziende locali. A questo proposito l’ente camerale britannico in Turchia ha commentato che alcune aziende inglesi - quelle ad esempio del settore automotive - che hanno attualmente i propri impianti produttivi nel sud est asiatico, hanno manifestato il forte interesse a ridurre i costi di produzione attraverso la frammentazione e lo spostamento in Turchia soprattutto delle loro produzioni “labour intensive” e quelle “green” considerando per quest’ultime l’elevato livello di sviluppo raggiunto dalla Turchia nelle rinnovabili. Anche sul versante italiano si assiste ad un crescente interesse per il “near-shoring” in Turchia.

Queste operazioni sono favorite anche dalla buona infrastruttura logistica di cui la Turchia si è dotata negli ultimi anni, in particolare nel settore portuale ma anche attraverso gli investimenti previsti in prospettiva nel settore ferroviario, nell’ambito della Strategia governativa 2023. La presenza di numerose Free Trade Zones e la collocazione geografica strategica del Paese - che rende conveniente sia il movimento di container che il trasporto combinato (Ro-Ro) – sono ulteriori fattori che possono agevolare i processi di “re-shoring”.

L’Agenzia Presidenziale per gli Investimenti Esteri (www.invest.gov.tr), presieduta da Burak Daglioglu, è attiva da diversi anni per cercare di favorire le operazioni delle compagnie straniere che intendono effettuare un investimento in Turchia.

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)

 

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Giovedì 23 Dicembre 2021

Sondaggio di Luxembourg for Finance: cresce l’ottimismo nella piazza finanziaria lussemburghese, ma permangono alcune preoccupazioni

La fiducia delle imprese è notevolmente aumentata rispetto ai 12 mesi precedenti; questo secondo più del 60% degli oltre 400 dirigenti e senior leader del centro finanziario del Lussemburgo intervistati da Luxembourg for Finance nell'ottobre 2021. In linea con la maggiore fiducia, più della metà delle persone intervistate si aspetta che la propria organizzazione aumenti gli investimenti globali nel 2022, il 33% in più rispetto a un anno fa.

Nonostante questa crescita della fiducia, i leader finanziari sono diffidenti nei confronti dei rischi macroeconomici emergenti, in particolare le bolle di asset e l'inflazione, tra cui il significativo accumulo di debito pubblico, il rapido aumento dei prezzi dell'energia e l'impennata dei prezzi immobiliari.

Quasi l'80% degli intervistati indicano di essere preoccupati per la crescente frammentazione all'interno del mercato unico. I partecipanti hanno sottolineato la necessità di superare l'azione nazionale da parte delle autorità degli stati membri e di concentrarsi piuttosto su un obiettivo generale dell'UE al fine di superare la perdita di competitività attualmente riscontrata tra gli attori finanziari dell'UE sulla scena globale.

L'industria si è ripresa bene dallo scompiglio iniziale visto durante la pandemia Covid-19, con il 49% degli intervistati che ha indicato di non essere più preoccupato dell'influenza della pandemia sui servizi finanziari. Inoltre, la maggioranza degli intervistati (58%) non era preoccupata per gli effetti a lungo termine della Brexit, dimostrando che il settore si è adattato bene alla nuova situazione.

L'accesso al talento rimane una questione chiave per l'industria globale dei servizi finanziari. In Lussemburgo, il 51% degli intervistati non ha fiducia nella capacità delle proprie organizzazioni di affrontare la questione, in aumento rispetto al 44% dell'aprile di quest'anno.

D'altra parte, le aziende in Lussemburgo hanno chiaramente preso a cuore la necessità di proteggere i sistemi vulnerabili e i dati dei clienti, con il 79% fiducioso nella capacità delle loro organizzazioni di gestire la sfida della cybersecurity. Inoltre, il passaggio al lavoro da casa è avvenuto senza problemi, con l'88% degli intervistati fiduciosi nella capacità delle loro organizzazioni di affrontare qualsiasi possibile sfida che potrebbe sorgere nei prossimi 12 mesi.

In generale, il settore dei servizi finanziari lussemburghese sembra essere ben preparato a gestire le sfide relative alla finanza sostenibile: il 71% degli intervistati è fiducioso nella capacità della propria organizzazione di includere considerazioni ESG nella consulenza ai clienti, il 64% nell'identificare opportunità di investimento sostenibile e il 68% nella progettazione di prodotti sostenibili. Tuttavia, la disponibilità di dati sostenibili di qualità e la frammentazione degli standard rimangono le principali preoccupazioni degli intervistati, in linea con la tendenza globale.

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italo-Lussemburghese)

 

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Giovedì 23 Dicembre 2021

In Svizzera va in porto la riforma dell’AVS: donne in pensione a 65 anni

Con l’adozione ieri da parte del Consiglio degli Stati e del Consiglio Nazionale delle proposte della Conferenza di conciliazione, la riforma AVS 21 ha terminato l’iter legislativo. Il suo scopo è garantire il finanziamento del Primo pilastro fino al 2030. A tal fine, sono previste diverse misure, le più significative sono l’aumento dell’età pensionabile per le donne e l’incremento dell’IVA. L’ultima parola spetterà comunque al popolo.

Come previsto, l’elemento più controverso e discusso durante i dibattiti è stato l’innalzamento di un anno, a 65 anni, dell’età pensionabile per le donne, misura che permetterà di sgravare l’AVS di 1,4 miliardi di franchi nel 2030. L’aumento scatterà un anno dopo l’entrata in vigore della riforma e sarà progressivo (tre mesi ogni anno).

Discussioni hanno sollevato anche le misure compensatorie previste per “addolcire” la pillola. A beneficiarne saranno le donne che andranno in pensione nei nove anni successivi all’adozione della riforma.

Concretamente, queste riceveranno un supplemento della rendita. Per le prime tre classi d’età che andranno in pensione, esso sarà progressivamente aumentato. Le successive due riceveranno il supplemento pieno. Per le ultime quattro classi sarà di nuovo ridotto allo scopo di evitare un effetto di soglia alla fine della generazione di transizione.

Il supplemento sarà modulato a seconda del reddito e aumentato per i redditi medio-bassi. Quello pieno ammonterà così a 160 franchi al mese per le donne con un reddito fino a 57’360 franchi, a 100 franchi fino a un reddito di 71’700 franchi e a 50 franchi con un reddito superiore a 71’700 franchi.

 

Pensionamento flessibile

La riforma prevede anche la possibilità per tutti di anticipare o rinviare la totalità o una parte della rendita tra i 63 e i 70 anni, anche nella previdenza professionale. Le persone che rimarranno attive anche oltre i 65 anni riceveranno una rendita superiore visto che versano contributi più a lungo.

Le donne nella generazione transitoria beneficeranno di condizioni più favorevoli per il prepensionamento (dai 62 anni). La rendita di vecchiaia non sarà ad esempio ridotta per quelle che andranno in pensione a 64 anni se non avranno un reddito superiore a 57’360 franchi.

Altro elemento portante della riforma è l’aumento dell’IVA di 0,4 punti percentuali, a fronte di una proposta del Consiglio federale proponeva un rialzo di 0,7 punti. L’introito supplementare verrà interamente attribuito al Fondo di compensazione AVS permettendogli così di raggiungere un grado di copertura sufficiente.

Non ci sarà invece un finanziamento dell’AVS da parte della Banca nazionale svizzera (BNS).

 

Agli elettori l’ultima parola

Contro la modifica della Legge federale sull’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti (LAVS) la sinistra durante i dibattiti ha già annunciato il lancio del referendum. L’ultima parola spetterà in ogni caso al popolo: il decreto federale sull’aumento dell’IVA comporta infatti una modifica costituzionale che sottostà a votazione popolare obbligatoria.

Se il referendum riuscirà, il popolo - e i cantoni - dovranno quindi esprimersi due volte su uno stesso tema. La riforma potrà entrare in vigore solo se verranno accettati entrambi gli oggetti.

Non sarebbe la prima volta che gli elettori sono chiamati a una doppia votazione: ciò era successo con la Previdenza per la vecchiaia 2020. In quell’occasione, il 24 settembre 2017, la legge era stata respinta con il 52,7% di «no», il decreto sull’innalzamento dell’IVA con 50,05% di voti negativi (e 13,5 cantoni).

Fonte: http://www.ccis.ch/it/news.aspx?id=1474

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera)

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Giovedì 23 Dicembre 2021

Livelli occupazionali in USA nel 2022

A partire da novembre '21, gli USA avevano recuperato 18,2 milioni dei 22,4 milioni di posti di lavoro persi nelle prime fasi della pandemia. Prima del covid, gli Stati Uniti creavano circa 200.000 posti di lavoro al mese o 2,4 milioni all'anno.

Le previsioni di crescita del '22 sembrano andare ben al di sopra delle tendenze storiche. L'economia statunitense dovrebbe, nel 2022, produrre mediamente 321.000 nuovi posti di lavoro netti al mese. Alcuni economisti intervistati dal Wall Street Journal si aspettano 350.000 posti di lavoro al mese.

In entrambe le ipotesi, gli Stati Uniti recupereranno tutti i posti di lavoro persi durante la pandemia entro dicembre '22. Houston Le previsioni dicono che Metro Houston creerà 75.500 posti di lavoro nel 2022. La crescita riguarderà tutti i settori dell'economia, compresi quelli che nell’ultimo biennio hanno sofferto drastiche cadute. I maggiori incrementi di personale si verificheranno nei settori dei servizi amministrativi, gestione dei rifiuti, pubblica amministrazione, assistenza sanitaria e sociale, servizi di consulenza professionale, scientifico e tecnica.

Nonostante tale crescita, il saldo finale per Houston alla fine del 2022 sarà comunque negativo di circa15.000 posti di lavoro rispetto ai livelli occupazionali pre-COVID. Cinque fattori sosterranno la crescita del lavoro l'anno prossimo: l’espansione economica in corso negli Stati Uniti, un robusto commercio globale, il consumo di energia a livelli pre-crisi, crescita della popolazione locale.

La ripresa continuerà tuttavia ad affrontare venti contrari. Inflazione elevata, problemi nelle catene di approvvigionamento e carenza di lavoratori ridurranno la crescita, ma non la fermeranno. I rischi più pericolosi per la crescita saranno piu’ di ordine politico che economico, quale potrebbe essere una escalation delle tensioni tra la Cina e gli Stati Uniti, il verificarsi di massiccio attacco informatico alle strutture statunitensi, o diffusi disordini sociali, locali o internazionali. E non si può escludere la possibilità che la nuova variante COVID determini nuovi e prolungati kockdown.

 

(Contenuto editoriale a cura della Italy-America Chamber of Commerce of Texas)

 

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Giovedì 23 Dicembre 2021

Asse Italia-Francia su crescita, energia e semiconduttori

Un asse industriale e strategico tra Italia e Francia in settori di particolare rilevanza come quelli della crescita economica, dell’energia e dei semiconduttori. È quanto emerge dalle parole del ministro francese dell’Economia, delle finanze e del rilancio Bruno Le Maire: “Italia-Francia, mai così unite. Draghi e Franco hanno fatto un ottimo lavoro”.

Come si legge in una nota diffusa dal Mise, nel corso dell’incontro bilaterale a Palazzo Piacentini tra il ministro Giancarlo Giorgetti e il ministro Le Maire è stata confermata la forte intesa tra Italia e Francia sulla politica industriale e la convergenza sui temi strategici per favorire la crescita dell’economica attraverso investimenti nei settori della microelettronica e della transizione green.

Crescita e ripresa economica: buoni risultati dell’economia francese, in linea con quelli dell’economia italiana.

Grazie ad un 6% di crescita nel 2021 e una previsione di oltre il 4% nel 2022, i risultati italiani sono più che positivi. Altrettanto favorevole la situazione economica francese: 6,25% di crescita nel 2021, 4% nel 2022. Quindi, alla luce di questi risultati, è possibile affermare che Mario Draghi in Italia e Emmanuel Macron in Francia abbiano preso le decisioni giuste per rilanciare l’attività economica.

D’altro canto, per rendere la ripresa economica di entrambi i Paesi costante sarà fondamentale rendere durevoli questi risultati grazie alle riforme strutturali che sia Francia che Italia stanno intraprendendo. A tal proposito, Le Maire ha salutato con spirito benaugurante “le decisioni prese con coraggio e costanza da Mario Draghi, come quelle sulla riforma della giustizia o fiscale”. Ha aggiunto che la Francia passerà all’applicazione integrale della riforma dell’indennità di disoccupazione, e punterà molto sulla formazione dei lavoratori, visto che oggi molte imprese si lamentano della difficoltà di reclutarli, nonostante i nodi sulla questione delle pensioni.

L’unica nota dolente di questa vigorosa ripartenza economica riguarda la difficoltà nel trovare personale da assumere, in Francia come in Italia. Alcuni mestieri vanno resi più attraenti e sarà fondamentale investire nella formazione dei giovani.

 

Riforma del mercato dell’energia, di fronte all’aumento dei prezzi:

I due ministri hanno affrontato anche il tema dell’aumento del costo dell’energia, sottolineando come sia stato necessario introdurre in questo periodo misure finalizzate ad alleviare l’impatto sull’industria e i consumi delle famiglie. Al contempo hanno condiviso la necessità di avviare una riflessione in ambito europeo sulla politica energetica, che riguardi sia l’utilizzo del gas che la possibilità di discutere del nucleare pulito di ultima generazione.

 

Semi-conduttori 

Al fine di favorire gli investimenti in ricerca e sviluppo nel campo dei semi-conduttori è stato anche concordata la necessità di rivedere le regole per gli aiuti di Stato in ambito UE.

Parlando di semi-conduttori Le Maire afferma: «Si tratta del terzo grande tema strategico dell’uscita dalla crisi pandemica, dopo la scarsità di manodopera e il prezzo dell’energia. Si può riassumere in una parola: indipendenza. I semi-conduttori sono indispensabili e li troviamo ovunque: in un’auto elettrica se ne trovano diverse migliaia. Le fabbriche di Stellantis, che sono un orgoglio franco-italiano, sono costrette a rallentare la produzione perché non ci sono abbastanza semi-conduttori. Siamo pronti a sostenere il gruppo franco-italiano STMicroelectronics che produce semi-conduttori di alta qualità vicino a Grenoble e in Italia. È imperativo che STMicroelectronics aumenti le sue capacità di produzione e riaffermi una preferenza europea. Dobbiamo cooperare e coordinarci».

Quindi, affinché l’Unione europea possa essere meno dipendente dalla catena di approvvigionamento a Oriente e a Occidente è necessario rimettere mano alle norme sugli aiuti di Stato.

Fonte: https://bit.ly/3FhpNvU

 

(Contenuto editoriale a cura della Chambre de Commerce Italienne Nice, Sophia-Antipolis, Cote d'Azur)

 

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Giovedì 23 Dicembre 2021

Le 10 buone ragioni per lavorare in Lussemburgo secondo Les Frontaliers

Il sito informativo Les Frontaliers pubblica online le 10 buone ragioni per cui si dovrebbe venire a vivere e lavorare in Lussemburgo. Non solo gli stipendi sono tra i più alti della zona euro, ma il basso tasso di criminalità e la stabilità politica del paese lo rendono uno dei luoghi più sicuri del mondo.

Si riportano di seguito i 10 motivi per lavorare in Lussemburgo:

1. Multiculturalismo: Il Lussemburgo è facile da integrare grazie alla sua apertura al multiculturalismo consolidato. Ben 200.000 frontalieri lavorano quotidianamente nel paese. In tutto, il 48% della popolazione è straniera, cioè quasi la metà. Attualmente ci sono 170 nazionalità registrate nel paese.

2. Una posizione geografica strategica: Il paese si trova al crocevia dell'Europa tra Germania, Belgio e Francia.

3. Facilmente accessibile: Il Lussemburgo ha un aeroporto internazionale e una stazione ferroviaria con treni europei ad alta velocità. La rete autostradale è abbondante.

4. Capitale a misura d'uomo

5. Mercato del lavoro attraente: Il Lussemburgo ha un tasso di disoccupazione in calo nonostante l'aumento della popolazione attiva. La Brexit sta riportando grandi aziende in Lussemburgo. Il mercato del lavoro è attraente grazie soprattutto allo sviluppo della rete di start-up.

6. Sicurezza: Il tasso di criminalità è in calo. Ci sono anche forti norme per il rispetto del GDPR - il regolamento europeo sui dati personali. La capitale è stata nominata la città più sicura del mondo nel Mercer 2019 Quality of Life Survey, che prende in considerazione la stabilità interna, il tasso di criminalità, l'applicazione della legge, la libertà di stampa e le restrizioni alla libertà personale.

7. Salari competitivi: le condizioni salariali sono superiori alla media dei paesi vicini. C'è anche una doppia sicurezza sociale per i frontalieri. La tassazione è più bassa per le aziende.

8. Opportunità di sviluppo: Il Granducato è sede di molte grandi aziende (Arcelor, Ferrero, Deloitte, Amazon...).

9. Un centro finanziario sviluppato: Il settore finanziario è molto presente con quasi 130 banche nel paese. È il leader mondiale nel settore dei fondi (4.110 fondi domiciliati). Lussemburgo è anche sede di importanti istituzioni finanziarie europee come il Segretariato generale del Parlamento europeo; la Commissione europea con entità di numerose direzioni generali; l'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali (OP); la Corte di giustizia dell'Unione europea; la Corte dei conti europea, ecc.

10. Infrastrutture moderne: L'obiettivo del Granducato è quello di diventare un paese leader nel campo della banda larga "ultra-alta velocità" in modo che i cittadini, le imprese e gli attori pubblici possano beneficiare delle ricadute socio-economiche che ne derivano. Un altro vantaggio innegabile è lo sviluppo del trasporto pubblico (gratuito da marzo 2020).

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italo-Lussemburghese)

 

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Giovedì 23 Dicembre 2021

Svizzera: il Consiglio degli Stati boccia lo “jus soli”

Lo ius soli rimane una chimera in Svizzera. Senza sorprese, con un risultato netto, il Consiglio degli Stati ha bocciato (29 a 13) una mozione di Paul Rechsteiner (PS/SG) che chiedeva la naturalizzazione automatica per gli stranieri nati in Svizzera (seconda generazione).

Per la maggioranza del plenum, l’attuale sistema, che vede cantoni e comuni in prima fila nel concedere la cittadinanza svizzera dopo aver ottemperato a certe condizioni, è accettato e ancorato nella popolazione che l’ha più volte plebiscitato in votazione popolare.

Per l’autore della mozione, firmata solo dalla collega Lisa Mazzone (Verdi/GE), la Svizzera deve finalmente fare i conti con la realtà: oltre un quarto della popolazione non dispone dei diritti politici, benché sia perfettamente integrata: è nata qui, ha frequentato le scuole in Svizzera e qui lavora, insomma è integrata in tutto e per tutto nel tessuto sociale ed economico del Paese. Le manca solo il riconoscimento formale della cittadinanza.

Si tratta anche, per il «senatore» socialista, di fare un passo verso il futuro, come fu nel caso della concessione del diritto di voto alle donne nel 1971. All’epoca la Svizzera era una democrazia dimezzata, ora lo siamo per tre quarti, si è rammaricato.

Ottenere la cittadinanza elvetica, ha aggiunto, è spesso molto difficile per i cosiddetti stranieri di seconda generazione e per alcuni è di fatto addirittura impossibile a causa di un cambio di domicilio, della dipendenza dei genitori dall’aiuto sociale o di altre ragioni.

Se la cittadinanza per filiazione poteva avere un senso nell’Ottocento per legare a sé i gli Svizzeri che emigravano, ora un simile sistema ha perso di significato essendo la Confederazione diventata un Paese di immigrazione, ha spiegato il Consigliere agli Stati socialista. Dobbiamo abbandonare l’idea di un patriottismo etnico - d’altronde la Svizzera non è mai stato un Paese unito per lingua e cultura - per approdare a un patriottismo costituzionale, in cui valori come libertà e democrazia abbiano il sopravvento.

Argomentazioni che non hanno convinto una buona fetta dei presenti. Heidi Z’Graggen (Centro/UR) ha fatto notare che per gli stranieri nati e cresciuti in Svizzera vi sono già agevolazioni per ottenere la nazionalità. Il passaggio allo «ius soli», secondo la «senatrice» urana, presuppone un cambiamento radicale di sistema, ora applicato in Paesi a forte immigrazione come quelli anglosassoni, giacché taglierebbe fuori cantoni e comuni, proprio quelle istanze che meglio di tutti conoscono i candidati alla cittadinanza.

Il sistema attuale è radicato e accettato, è ormai parte integrante di una tradizione che coinvolge la popolazione. Lo «ius soli» potrebbe anche essere utilizzato per aggirare le regole dell’immigrazione, ha messo in guardia Z’Graggen, dando avvio a una sorta di turismo del passaporto.

A detta del «senatore» Marco Chiesa (UDC/TI), la mozione rappresenta una falsa soluzione e capovolge il problema. Il naturalizzazione non rappresenta, a parere del ticinese, il primo passo verso l’integrazione, bensì il coronamento di quest’ultima. Con lo «ius soli», inoltre, riceverebbero automaticamente la nazionalità anche persone che non rispettano le condizioni per ottenerla e quelle che invece non la vogliono nemmeno.

Anche nel corso del suo intervento, la Consigliera federale Karin Keller-Sutter ha sottolineato che il sistema attuale è ancorato nella popolazione. Un «sì» alla mozione farebbe inoltre perdere al Consiglio federale il controllo sull’immigrazione e priverebbe d’un colpo cantoni e comuni delle prerogative in questo settore. Nessun Paese dell’UE, tra l’altro, conosce la pratica dello «ius soli» pura e dura come negli Stati Uniti. Anche in Europa bisogna ottemperare a determinate condizioni, ad esempio avere almeno un genitore nato nel Paese in cui ci si vuole naturalizzare.

Fonte: http://www.ccis.ch/it/news.aspx?id=1472

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera)

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Giovedì 23 Dicembre 2021

Terzo trimestre 2021: in rialzo in Svizzera il numero di persone occupate

Il numero di ore di lavoro settimanali effettive per persona occupata è salito del 3,7%, tornando a raggiungere il livello prepandemico. Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione ai sensi dell’Organizzazione internazionale del Lavoro (ILO) si è ridotto, passando dal 5,3 al 5,1% in Svizzera e dal 7,6 al 6,7% nell’Unione europea. Questi sono alcuni dei risultati tratti dalla rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera (RIFOS).

Nel terzo trimestre 2021, in Svizzera si annoveravano 5,110 milioni di persone occupate, ovvero lo 0,9% in più rispetto allo stesso periodo del 2020. Le persone che avevano usufruito del lavoro ridotto sono state conteggiate tra quelle occupate, purché non fossero state assenti per oltre tre mesi. L’aumento delle persone occupate è stato dello 0,7% per gli uomini e dell’1,1% per le donne. Tra il secondo e il terzo trimestre 2021, una volta corretto secondo le variazioni stagionali, il numero di persone occupate presentava una progressione dello 0,8%.

Lavoratori svizzeri e stranieri

Tra il terzo trimestre del 2020 e quello del 2021 il numero delle persone occupate di nazionalità svizzera è aumentato dello 0,7% e quello delle persone straniere dell’1,4%. Tra le persone occupate di nazionalità straniera, il gruppo ad aver presentato la maggior progressione è stato quello dei frontalieri (permesso G: +2,8%), seguito dai titolari di un permesso di dimora (permesso B o L, in Svizzera da 12 mesi o più: +1,4%) e dai titolari di un permesso di domicilio (permesso C: +0,7%). È invece diminuito (–3,4%) il numero di persone occupate titolari di un permesso per dimoranti temporanei (permesso L, in Svizzera da meno di 12 mesi).

Disoccupazione in Svizzera e in Europa

Nel terzo trimestre 2021, in Svizzera le persone che risultavano disoccupate ai sensi dell’ILO erano 253 000, ovvero 7000 in meno rispetto a un anno prima. Queste persone disoccupate rappresentavano il 5,1% della popolazione attiva, cioè una quota inferiore a quella osservata nel terzo trimestre 2020 (5,3%). Una volta corretto secondo le variazioni stagionali, il tasso di disoccupazione è calato di 0,3 punti percentuali rispetto al secondo trimestre 2021, passando dal 5,2 al 4,9%. Tra il terzo trimestre 2020 e il terzo trimestre 2021 il tasso di disoccupazione ha segnato una contrazione sia nell’UE, passando dal 7,6 al 6,7%) sia nella zona euro (ZE19: dall’8,5 al 7,4%).

Disoccupazione giovanile

In Svizzera, fra il terzo trimestre 2020 e il terzo trimestre 2021 il tasso di disoccupazione giovanile (giovani dai 15 ai 24 anni) ai sensi dell’ILO è diminuito dall’11,6 al 10,6%. Nello stesso arco di tempo ha subito una contrazione sia nell’UE (passando dal 18,7 al 16,0%) sia nella zona euro (ZE19: dal 19,4 al 16,3%).

Disoccupazione secondo varie caratteristiche

Fra il terzo trimestre 2020 e il terzo trimestre 2021, il tasso di disoccupazione è calato nella fascia di età compresa tra i 25 e i 49 anni, passando dal 5,1 al 4,7%, mentre ha segnato una progressione in quella tra i 50 e i 64 anni, passando dal 3,6 al 4,3%. Il tasso è leggermente aumentato per gli uomini (dal 4,9 al 5,0%) ed è diminuito per le donne (dal 5,7 al 5,3%). Il tasso di disoccupazione ha registrato un calo per tutti i livelli di formazione (nessuna formazione postobbligatoria: dal 10,1 al 9,3%; formazione di livello secondario II: dal 5,4 al 5,3%; formazione di livello terziario: dal 3,6 al 3,5%). Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione è diminuito sia fra le persone di nazionalità svizzera (dal 4,0 al 3,9%) che fra quelle straniere (dall’8,5 all’8,2%). Nel terzo trimestre 2021, il tasso di disoccupazione ai sensi dell’ILO era del 5,9% per i cittadini dell’UE/AELS e del 13,5% per le persone di Paesi terzi.

Durata della disoccupazione

Nel terzo trimestre 2021, il numero di persone disoccupate di lunga durata ai sensi dell’ILO (un anno o più) si attestava a quota 108 000, in aumento di 24 000 persone rispetto al terzo trimestre 2020. Anche la quota di disoccupati di lunga durata sul totale delle persone disoccupate è cresciuta, passando dal 32,6 al 42,8%. La durata mediana di disoccupazione si è prolungata da 204 a 281 giorni.

Ore di lavoro

Tra il terzo trimestre 2020 e lo stesso trimestre del 2021, la durata settimanale effettiva di lavoro per persona occupata è cresciuta del 3,7%, per tornare al livello precedente la pandemia di COVID-19. L’aumento più marcato è stato riscontrato nel ramo «Trasporto e magazzinaggio» (+11,9%), seguito dai rami «Servizi di alloggio e di ristorazione» (+6,6%) e «Attività artistiche, di intrattenimento, presso economie domestiche, altro» (+5,7%).

Lavoro a domicilio

Nel terzo trimestre 2021, il 39,6% delle persone salariate ha lavorato a domicilio almeno occasionalmente, una percentuale in calo di 3,8 punti rispetto al secondo trimestre 2021 (43,5%), ma in aumento di 3,7 punti rispetto all’anno precedente (35,9%). I rami «Servizi di informazione e comunicazione» (85,2%) e «Attività finanziarie e assicurative» (73,3%) presentano le maggiori quote di persone che hanno lavorato a domicilio.

Fonte: http://www.ccis.ch/it/news.aspx?id=1471

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera)

Ultima modifica: Giovedì 23 Dicembre 2021
Giovedì 23 Dicembre 2021

L’Italia consolida la 5° posizione tra i principali partner commerciali della Turchia

Nei primi nove mesi dell’anno il commercio estero della Turchia segna un aumento sia dell’export (+35,9%) che dell’import (23,7%) rispetto ai primi nove mesi del 2020. In particolare, l’export turco del periodo gennaio-settembre 2021 verso il resto del mondo si è attestato su 161 miliardi di dollari rispetto ai 118 miliardi registrati nell’analogo periodo del 2021 mentre gli acquisti turchi sono passati dai 156 a 193 miliardi. Nello stesso periodo, il deficit commerciale è sceso a 32 miliardi di dollari.

Il nostro Paese consolida la 5° posizione tra i principali partner commerciali della Turchia (16,5 miliardi di dollari USA) con una quota pari al 4,6% preceduta da Germania (8,6%), Cina (7,4%), Russia (6,8%) e USA (5,6%) e seguita da Regno Unito con una quota del 3,9% e da Francia e Spagna, rispettivamente con una quota del 3,5% e del 3,3%. Rispetto all’anno precedente, nel periodo in esame, l’export italiano in Turchia è aumentato del 32,4% (8,3 miliardi di dollari) mentre l’import dalla Turchia ha fatto registrare un aumento del 46,5%, attestandosi a 8,1 miliardi con un saldo negativo per la Turchia di soli 263 milioni che denota una bilancia commerciale in quasi perfetta stabilità e un forte grado di interconnessione tra le due economie. L’Italia si conferma 5° fornitore della Turchia, dopo Cina, Russia, Germania e USA e il 4° cliente dopo Germania, USA e Regno Unito.

Per quanto attiene ai settori, tutte le principali voci del nostro export hanno fatto registrare forti incrementi. L’Italia ha esportato prevalentemente macchinari e apparecchiature meccaniche seguite, a distanza, dalle vendite di autoveicoli e parti di ricambio, plastica, ferro e acciaio e macchinari ad alta precisone.

L’ultimo rapporto di novembre 2021 della Banca Centrale turca, segnala nei primi 9 mesi del 2021 un flusso totale di Investimenti Diretti Esteri di circa 10 milioni di dollari (+89% rispetto allo stesso periodo del 2020), un risultato che si avvicina ai livelli pre-pandemici. I settori interessati dall’afflusso di IDE sono stati quello del commercio all’ingrosso e delle catene al dettaglio, l’industria del manifatturiero, Information & Technologies, servizi di comunicazione, finanziari e logistica.

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)

 

Ultima modifica: Lunedì 10 Gennaio 2022